I SOCIAL NETWORK: UTLI O PERICOLOSI?
PERCHE' I SOCIAL NETWORK (SE USATI SENZA CONSAPEVOLEZZA) RISCHIANO DI DIVENTARE LA PIU' POTENTE DROGA MAI ESISTITA: L'UNICA IN GRADO DI TENERTI STACCATO DAL MONDO REALE PER TEMPI INFINITI...
da "Corsa e irrealtà", di P. Trabucchi, pubblicato nel 2010 su "Correre"
Una persona è intenta a trafficare sul proprio cellulare: intorno i suoi amici conversano tra loro. Lui intanto scambia senza sosta messaggi con qualche interlocutore lontano.
Una donna cammina per la strada ascoltando l’I-Pod. L’effetto della tecnologia che sta usando è quello di isolarlo dall’ambiente circostante, per relegarla in una dimensione separata, più intima ed apparentemente più protetta.
Una famiglia è davanti al televisore e guarda un film in HD: la riproduzione della realtà che la tecnologia offre è stupefacente: gli oggetti sullo schermo possiedono una nitidezza ed una perfezione che eguaglia la realtà. La morfina visiva inonda il cervello degli spettatori. Ciò che la vita ha rifiutato loro in termini di avventure, emozioni e potere, lo si consuma sotto forma di spettacolo.
Una donna cammina per la strada ascoltando l’I-Pod. L’effetto della tecnologia che sta usando è quello di isolarlo dall’ambiente circostante, per relegarla in una dimensione separata, più intima ed apparentemente più protetta.
Una famiglia è davanti al televisore e guarda un film in HD: la riproduzione della realtà che la tecnologia offre è stupefacente: gli oggetti sullo schermo possiedono una nitidezza ed una perfezione che eguaglia la realtà. La morfina visiva inonda il cervello degli spettatori. Ciò che la vita ha rifiutato loro in termini di avventure, emozioni e potere, lo si consuma sotto forma di spettacolo.
Questi sono tre esempi di comportamenti diffusi: chattare e messaggiare, ascoltare l’I-Pod, guardare la televisione. Ed, entro certi limiti, del tutto legittimi e comprensibili. Che – sommati tutti insieme però- presentano un pericolo: erodono il nostro rapporto con il reale. All’inizio sono tutte cose innocenti: tutti noi, tutti i giorni, mandiamo ad esempio messaggi ad interlocutori lontani. E’ un comportamento molto diffuso. Spesso dettato dalla necessità di scambiarsi velocemente comunicazioni importanti. Non sempre però. A volte lo facciamo semplicemente perché è più facile relazionarsi con interlocutori lontani ed idealizzati piuttosto che impegnarsi con quelli vicino a noi in carne ed ossa.
In questi casi le relazioni virtuali ci distolgono da quelle reali. E’ come se che la tecnologia contribuisse a farci perdere un po’ il contatto con la realtà. Nel senso di permetterci di non rimanere con quello che c’è qui ed ora per andare altrove. Esattamente l’effetto che vuole produrre chi usa la musica degli I-Pod per stordirsi. Ma anche il messaggio televisivo ti distrae (nel senso etimologico originario di "separare”), ti porta lontano, ti toglie dallo stare con quello che c’è: avete presente come decade una conversazione se abbiamo davanti un televisore acceso? La televisione spinge ad isolarsi e nel contempo soddisfa un bisogno di evasione stimolato dal crescente isolamento. Essa propone una riproduzione che ormai si avvicina molto al reale. Con l’unica, rimarchevole differenza che il virtuale non ti dà possibilità di confronto: si limita a stimolare apatia nei singoli e nei gruppi.
E lavorare con le mail e gli sms che continuano ad arrivare, non e’ anch’esso un continuo essere portati altrove?
Ma la tecnologia non ci allontana dal reale solo perché rende più difficile stare nel qui ed ora. Ci allontana dal reale anche perché erode le fondamenta più profonde che ci tengono legati al presente. Il nostro senso di realtà – infatti- si fonda in gran parte sul contatto con la nostra corporeità: è quella che molti autori chiamano "cenestesi”, cioè l’insieme costante di sensazioni che provengono dal nostro corpo. La cenestesi è stata descritta come quella organizzazione che "continua a funzionare per tutta la vita, potentemente si potrebbe dire, come la fonte perenne della vita stessa, anche se la nostra civiltà occidentale ha posto un silenziatore sulle sue manifestazioni " (R. Spitz, 1973). Le sensazioni che provengono dai visceri, il dolore ed il piacere, il senso di benessere o di fatica, le sensazioni muscolari o legate alla postura, la percezione di peso e quelle legate alla respirazione, il correlato corporeo delle emozioni e dei sentimenti: tutti questi elementi ci danno al sensazione di esistere davvero, di essere reali e presenti alla vita stessa. Da bambini siamo tutti molto affascinati e legati a questo tipo di sensibilità, che viene stimolata in tutti i giochi di movimento. Poi cominciamo a perdere il rapporto con essa: Spitz sosteneva che è l’educazione a farci perdere il nostro rapporto originario con questo tipo di percezione, a trattarla con diffidenza. Credo invece che contribuiscano a distaccarci anche i mezzi di comunicazione attuali, e ritorno così alla premessa dell’articolo: la loro caratteristica è infatti e’ quella di privilegiare ed accentuare i canali sensoriali definiti "diacritici” (ovvero che lavorano a distanza), cioè vista ed udito- a discapito delle altre forme di sensibilità. Non è un caso infatti che "la società attuale venga generalmente definita come società dell’immagine, a sottolineare che mai nella storia si è dato un così imponente sviluppo dell'aspetto visivo del vivere umano, della rappresentazione, del mostrare e mostrarsi, della recita e dell'esibizione ( Romano Biancoli)”
Ma la tecnologia non ci allontana dal reale solo perché rende più difficile stare nel qui ed ora. Ci allontana dal reale anche perché erode le fondamenta più profonde che ci tengono legati al presente. Il nostro senso di realtà – infatti- si fonda in gran parte sul contatto con la nostra corporeità: è quella che molti autori chiamano "cenestesi”, cioè l’insieme costante di sensazioni che provengono dal nostro corpo. La cenestesi è stata descritta come quella organizzazione che "continua a funzionare per tutta la vita, potentemente si potrebbe dire, come la fonte perenne della vita stessa, anche se la nostra civiltà occidentale ha posto un silenziatore sulle sue manifestazioni " (R. Spitz, 1973). Le sensazioni che provengono dai visceri, il dolore ed il piacere, il senso di benessere o di fatica, le sensazioni muscolari o legate alla postura, la percezione di peso e quelle legate alla respirazione, il correlato corporeo delle emozioni e dei sentimenti: tutti questi elementi ci danno al sensazione di esistere davvero, di essere reali e presenti alla vita stessa. Da bambini siamo tutti molto affascinati e legati a questo tipo di sensibilità, che viene stimolata in tutti i giochi di movimento. Poi cominciamo a perdere il rapporto con essa: Spitz sosteneva che è l’educazione a farci perdere il nostro rapporto originario con questo tipo di percezione, a trattarla con diffidenza. Credo invece che contribuiscano a distaccarci anche i mezzi di comunicazione attuali, e ritorno così alla premessa dell’articolo: la loro caratteristica è infatti e’ quella di privilegiare ed accentuare i canali sensoriali definiti "diacritici” (ovvero che lavorano a distanza), cioè vista ed udito- a discapito delle altre forme di sensibilità. Non è un caso infatti che "la società attuale venga generalmente definita come società dell’immagine, a sottolineare che mai nella storia si è dato un così imponente sviluppo dell'aspetto visivo del vivere umano, della rappresentazione, del mostrare e mostrarsi, della recita e dell'esibizione ( Romano Biancoli)”
Sembra quindi che l’utilizzo delle nuove tecnologie ci allontani dal reale attraverso due effetti: sia perché ci stimola ad una continua distrazione dal qui ed ora; sia perché indebolisce ed atrofizza i legami che più profondamente ci legano alla realtà immediata.
Mi chiedo allora se correre non rappresenti anche un possibile antidoto a tutto questo: recuperare attraverso il movimento il rapporto con universo di sensazioni che dall’infanzia erano state smarrite. Ascoltare il movimento, sentire i muscoli e il respiro, percepire la fatica, interpretare malesseri ed indolenzimenti, concentrarsi sul ritmo del gesto … tutto questo ci riporta in contatto con il corpo e dunque con la realtà che ci circonda. E’ strano: a volte si può iniziare a correre perché si è interessati all’ apparenza; e invece si finisce per ritrovare la realtà.